Un popolo laborioso, solare e con un forte senso religioso

CiccioPhone_20131209_009Un popolo laborioso, solare e con un forte senso religioso, così ho sempre definito il mio paese, anzi, scusate, la mia città natale. Nei miei viaggi all’interno dell’isola, in Italia, nel mondo, presentando le mie origini, utilizzavo sempre queste tre espressioni, perché ritengo oggi come allora che meglio identifichino la comunità nella quale sono cresciuto e dalla quale ho imparato a vivere e a relazionarmi.

Anche qui in Madagascar, in questa fantastica terra rossa (definita così non per scelta partitica ma per il particolare colore della terra) porto con me queste tre definizioni ma, più mi inoltro nella cultura e lingua di questo popolo, più trovo assonanze con ciò che ho lasciato a Sorso. Sembrerebbe strano pensare che due popoli così lontani tra loro e con delle origini estremamente differenti, possano avere delle assonanze, eppure tenterò, senza molti sforzi per giunta, di presentarvi (con tutti i limiti della miao improvvisarmi scrittore) le corrispondenze armoniche di queste due culture, quella malgascia e quella sussinca.

Un popolo laborioso! La maggior parte di coloro che comunemente parlano del popolo africano, e in particolar modo di quello malgascio, lo descrivono come un popolo sfaticato, lento nei movimenti e con una scarsa capacità reattiva, forse perché se già a metà giornata o nel primo pomeriggio fate una passeggiata nei villaggi potete osservare uomini e giovani seduti per strada a chiacchierare e ad aspettare che “il tempo passi”. Ma vivendo con loro si potrà scoprire che non trascorrono tutta la giornata da sfaticati, ma preferiscono lavorare nelle prime ore della giornata al fresco. Forse è bene ricordare innanzitutto che il Madagascar si trova letteralmente dall’altra parte dell’equatore, il suo clima è un caldo umido estenuante. Qui il sole al mattino sorge alle ore 4:30 e la sera il buio ti avvolge sin dalle ore 18:00. Il lavoro più diffuso tra i villaggi è la coltivazione del riso e l’allevamento di buoi. Sin dalle prime ore dell’alba si vedono nei campi uomini e donne che lavorano la terra, pressoché priva d’acqua, mentre i bambini e ragazzi vanno al pascolo con i buoi, in cerca di erba fresca e acqua dissetante (questo comporta lo stare fuori “casa” anche giorni e giorni). Coltivare il riso non è semplice, i nostri avi a Sorso possono insegnarci cosa significhi stare ore e ore sotto il sole con il muso rivolto verso il terreno, e quali acrobazie bisognava inventare per irrigare la terra. Naturalmente qui in Madagascar, soprattutto nei villaggi, gli attrezzi comunemente utilizzati sono soltanto le proprie mani e la zappa. Solo chi ha lavorato o lavora la terra sa cosa significhi trascorrere mattinate intere a lavorare il terreno, dalle 5 di mattina alle 12:00, sotto il sole cocente africano, senza la possibilità di ripararsi al fresco di un albero, perché il terreno è stato disboscato per lasciar spazio alle risaie.

Ricordo, quand’ero bambino, nel periodo estivo, le levatacce dei miei familiari che dovevano andare ad aiutare in campagna per la raccolta dei pomodori o di altra frutta. Ricordo il furgone di mio nonno che faceva tappa all’ingresso del paese per recuperare qualche donna disposta a lavorare “a ore” nella sua campagna. Non dimenticherò mai che quelle ore di duro lavoro, a me bambino inesperto, apparivano come momenti di festa; custodisco ancora nelle mie memorie le risate, i suoni, i colori e i profumi di quella santa fatica degna di onore e ammirazione. Gli stessi suoni, colori, risate che sto riassaporando qui in Madagascar. Un popolo laborioso che mi fa essere ancor più orgoglioso delle mie origini, del mio paese. Certo, qui il profumo e il sapore del pomodoro non è lo stesso, tantomeno il sapore del vino o dell’anguria, ma nell’apparente diversità (e anche sostanziale) dei prodotti, si cela la medesima fatica e il medesimo onore del lavoro, sacrificio di famiglie intere. Per tre volte, durante l’anno, qui al sud, è periodo di semina. I campi devono essere arati e adeguatamente preparati. Tutta la famiglia è chiamata a partecipare, anche perché il riso per la stragrande maggioranza della popolazione è l’unico pasto accessibile, e merce di scambio. La buona riuscita della stagione sarà dunque importante per il loro sostentamento. Il terreno avrebbe molte potenzialità agricole e tuttavia i problemi non mancano: l’insufficienza delle infrastrutture (qui del tutto inesistenti), le tecniche inefficienti, l’inaridimento del suolo, la cattiva gestione dell’acqua, l’inesistenza di risorse economiche e la difficoltà di accesso al credito ostacolano il passaggio da un’agricoltura di sussistenza ad un’agricoltura di mercato.

La tribù predominante nella zona sud centrale del Madagascar che io servo come missionario è la tribù “bara”, un popolo molto attaccato alle sue tradizioni e culturalmente ‘molto chiuso’. Qui il bue (chiamato umby) non è semplicemente un animale, ma è il simbolo della loro cultura. Una famiglia, anzi un uomo, più umby possiede più è rispettabile. È un animale da trattare con venerazione. Il furto degli umby qui al sud, da parte dei numerosi briganti che si muovono in massa, è considerato brutale, i briganti di umby non sono degni di rispetto e vivono al di fuori della vita del villaggio. L’umby viene utilizzato per il trasporto di carretti, per lavorare il terreno facendoglielo calpestare più e più volte di corsa, per il macello e come merce di scambio. Il vanto più grande di un uomo malgascio è il quantitativo di umby che possiede. Nelle tribù veterane, il valore di una donna data in moglie viene tutt’ora contrattato in umby. Questo a noi può scandalizzare, ma bisogna realmente entrare dentro questa cultura per capire il vero senso dei loro atteggiamenti e pensieri. Alla morte del capo famiglia, tutti gli umby di sua proprietà non sono dati in eredità ai figli, ma devono essere macellati e con la carne bisogna sfamare tutti gli amici e parenti che partecipano alla festa dei giorni del funerale, venendo anche a piedi da molto lontano.

Dopo una giornata di duro lavoro sotto il sole rovente, o trascorsa a pascolare per chilometri lontano dalla propria casa, io direi che non è assolutamente scandaloso vedere adulti e giovani malgasci seduti ai bordi della strada a “contemplare il nulla”, a chiacchierare e forse ad allontanare solo per pochi istanti la stanchezza di una vita fatta di duro lavoro per il sostentamento della propria famiglia, intanto l’indomani il sole cocente sorgerà ugualmente molto presto…

 

Francesco Meloni

missionario fidei donum in Madagascar

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