San Pantaleo di Sorso ed il mistero di Barisone III

Chiesa di San Pantaleo. Interno. Immagine della metà del Novecento.

Fra gli argomenti a sostegno dell’antichità della Parrocchia di Sorso e della sua importanza politica all’interno del giudicato, vi è  anche quello riguardante  l’uccisione a Sorso del giudice di Torres Barisone III, e della sua presunta sepoltura nella chiesa di San Pantaleo.

Se ne trova un accenno in una relazione parrocchiale scritta nel 1839 in risposta a questionari vescovili.                  

Il pievano don Lorenzo Nurra, scriveva nel 1839[1] che nella chiesa di San Pantaleo era stata presente la tomba di Barisone III re di Torres, come risultava da una iscrizione incisa su una lapide sepolcrale. Sappiamo  Anche che il Teologo don Salvatore Oggiano, predecessore del Nurra alla guida della Parrocchia, aveva dato allo storico sardo Pasquale Tola, nel corso di una visita dello studioso a Sorso, la notizia dell’esistenza della lapide sepolcrale del giovane principe, a riprova della sua uccisione a Sorso e della sua sepoltura nella chiesa di San Pantaleo.

Tale lapide, se realmente esistente, andò probabilmente perduta durante la ricostruzione della chiesa, progettata e diretta dall’architetto (e frate francescano) Antonio Cano, perché a noi non è pervenuta nessuna prova della sua esistenza. L’intento del Nurra era stato forse quello di sottolineare l’importanza storica della parrocchia a lui affidata descrivendone, con dovizia di particolari, non solo la vita religiosa ed amministrativa, ma tracciandone nel contempo anche le origini gloriose, basandosi su autori antichi, sul Fara e sulla tradizione orale, e riportando a sostegno delle sue affermazioni la notizia dell’esistenza della lapide funeraria del giovane Barisone:

“[…] Sebbene non trovasi alcun monumento certo, che determini la precisa epoca di sua erezione, ad ogni modo, non sarebbe alieno dalla verità, se da ciò che ne parlano gli autori di Storia Patria vorrebbe fissarsi nel secolo decimo; nel quale in stato di floridezza esisteva l’antica Torres: mentre il Fara fin dal secolo duodecimo denomina Sorso = insigne opidum. Per esser tale, specialmente nei secoli d’ignoranza e di invidezza, sarebbe necessario che almeno due secoli, da questo, precedesse la sua esistenza, e nella quale, conforme al prescritto dei Sagri Canoni, fosse stata tal popolazione eretta in Parochia: tanto più che prima della metà del secolo 13 in una tal Parochia fu seppellito il corpo di Barisone III Re di Torres, come è chiaro e dalla lapide sepolcrale, che in essa Parochia esiste colla sua iscrizione lapidaria, e dalle ossa di detto Principe, che si conservano separate da tutte le altre: azzardoso quindi non sarebbe, il dire, la Parochiale di Sorso riconosceva la sua erezione nel secolo decimo”[2].

Forse la notizia della morte del principe a Sorso era stata tratta dal Fara (il quale a sua volta l’aveva tratta dal Liber iudicum turritanorum) che, nel De Rebus Sardois, tramanda questo avvenimento accennando ad un Barisone, secondo giudice con questo nome (secondo il Fara), che succedette al padre Mariano nel regno di Torres, il quale morì in tenera età e fu sepolto a Sorso nella chiesa di San Pantaleo[3].

 In realtà gli storici dell’Ottocento parlarono del fatto delittuoso soprattutto per confutare la leggenda dell’uccisione del giovane principe a Sorso più che a sostenerla, ma resta il fatto che la notizia della morte a Sorso del giovane e della sua sepoltura nella chiesa parrocchiale, fu argomento molto dibattuto nell’Ottocento da parte di diversi studiosi soprattutto perché dimostrava che, in un certo momento della sua storia, Sorso si era trovata al centro delle vicende politiche che sconvolsero la famiglia giudicale. E anche se le prove a sostegno della veridicità di questi fatti oggi non esistono più, ciò non toglie che non vi sia un fondo di verità in ciò che ci è stato tramandato.

Lo storico sorsense Nino Gaetano Madau Diaz[4], nella seconda metà del secolo scorso, si soffermava sulla vicenda dell’uccisione del giudice Barisone, nei tempi in cui la città di Sassari cercava di ottenere la sua autonomia comunale, e del seppellimento del principe nella chiesa parrocchiale di San Pantaleo a Sorso.

Accoglieva al riguardo la versione del La Marmora e concludeva dicendo che certamente i sassaresi, dopo aver acquistato maggiore autonomia e potere in tutta la Romangia, non potevano permettere che nella chiesa di San Pantaleo fosse ancora ben visibile la lapide che attribuiva quel delitto ad un certo Pietro sassarese per cui, verosimilmente, detta lapide venne tolta, trasportata a Sassari e collocata in un ripostiglio senza distruggerla ma mutilandola nella parte che indicava i sassaresi come responsabili del misfatto.

Secondo il giudizio di uno storico della Chiesa sarda, monsignor Damiano Filia, che analizzò le vicende basandosi forse sulla conoscenza della relazione parrocchiale redatta dal pievano Nurra e su altre pagine simili scritte da storici dell’Ottocento (ma soprattutto sul Fara), che considerava  come testimonianze attendibili, appariva verosimile che i congiurati di Sassari avessero raggiunto Barisone in Sorso, dove probabilmente i parenti lo avevano fatto rifugiare, per proteggerlo dai pericoli della crisi politica in atto.

Ipotizzava inoltre un’accentuazione in quell’epoca dell’antagonismo tra le due ville in quanto  Sassari era in rapida ascesa verso l’autonomia comunale e Sorso ne sentiva l’invadenza. Tracce di questa antica rivalità, sia pure in forma minimizzata e ridicolizzata, sono sopravvissute fino ai nostri tempi sotto forma di leggende popolaresche.

San Pantaleo (2)Il canonico Damiano Filia aveva inserito questi argomenti all’interno di un suo intervento a sostegno della notevole antichità della parrocchia sorsense, e precisamente il giorno 26 maggio del 1950, in occasione della solenne incoronazione della Madonna di Noli Me Tollere, che avvenne proprio all’interno della chiesa parrocchiale e non nella santuario dei frati cappuccini, che da secoli ne custodiscono il simulacro.

Per l’occasione fu redatto un opuscolo, un numero unico, dal titolo: Incoronazione della SS. Vergine Noli Me Tollere di Sorso, che raccoglieva le relazioni dei vari predicatori che erano intervenuti a sottolineare l’importanza dell’evento. Tra queste relazioni, come già accennato, particolarmente interessante ai fini della presente ricerca, si è rivelata quella del canonico Filia[5], che attirava l’attenzione dei fedeli sulle origini stesse della pievania sorsense, evidenziandone la preminenza, dal punto di vista storico oltre che religioso, su altre disseminate nella vasta Romangia.

Infatti quando, nei primi anni dopo il Mille, superata da poco la crisi barbarico-bizantina, ricominciava la storia scritta dell’isola, Sorso appariva già come il borgo più popoloso della Romangia.

Nel suo intervento avvalorava quindi la datazione proposta dal pievano Nurra che faceva ascendere al decimo secolo circa, l’origine della Parrocchia sorsense, e poneva dunque l’accento sull’importanza di questo territorio,  ad est di Turris Lybissonis (odierna Porto Torres), che anticamente era stato assegnato a coloni, cives romani, ossia veterani mandati in riposo a Turres, dopo la fine dell’impero romano d’Occidente. Aveva immaginato che queste genti avessero appreso il messaggio cristiano proprio attraverso Turres, che fin dal IV secolo era Chiesa vescovile.

Nei primi anni dopo il Mille, la comunità cristiana di Sorso appare come pievania, negli stessi anni di San Nicola di Sassari (1113-1130).

Il canonico Filia volle  rafforzare le sue tesi a sostegno dell’antichità della Parrocchia di San Pantaleo citando, durante il suo intervento, anche notizie di carattere economico e riferimenti alla principale attività agraria del villaggio di Sorso, legata alla coltura della vite, che si possono ricavare indirettamente dal condaghe di San Nicola di Trullas, ; in un atto del prezioso documento si legge: “Positinke Donna Iorgia d’Athen ad ora dessa morte sua sa domo de Sorso, cun onia pertinenthia sua de saltu et de binias et terras et corte et homines et canna et palma. Testes: prebiteru Gunnari Arbarakkesu, su de Siloke, et donnu Mariane d’Athen et donnu Ithoccor de Thori de Setilo. Testes”[6].

La testatrice, donna Giorgia aveva preso parte, il 29 ottobre 1113, insieme ad altri membri della famiglia Athen, tra le più potenti del Logudoro, alla fondazione del monastero di Trullas presso Semestene (SS), affidato ai monaci camaldolesi. Successivamente la stessa comunità camaldolese fu da lei nominata erede della sua casa di Sorso, con le vigne e le altre terre, compresi i servi che già le lavoravano, i canneti e salto di palme nane. Erano presenti alla donazione in qualità di testi, Mariano Athen e Itocorre de Thori, a dimostrazione che in quell’epoca erano presenti a Sorso vari rappresentanti delle più importanti famiglie del giudicato.

Altre fonti scritte attestano la presenza a Sorso, anche  nel corso del XIII secolo, dei rappresentanti delle famiglie principali del giudicato di Torres; il documento che lo dimostra, è il Liber judicum turritanorum, considerato “la più antica cronaca sarda”[7], nel quale si racconta che Barisone III, in seguito alla morte del padre Mariano, e dopo un governo di appena tre anni (1233-1236), morì proprio a Sorso e il suo corpo fu sepolto nella chiesa parrocchiale: “…domicellu Barisone su quale istetit juigue apustis  sa morte de su babu annos tre et meses tre set morisit in Romangia in sa villa de Sorso et fatet su corpu sou intro de sa ecclesia de santu Pantaleu”[8]. Sorso è dunque teatro delle tristi vicende che videro l’uccisione del giovane giudice Barisone, sulle quali però il Liber Iudicum Turritanorum non si sofferma limitandosi solo a riportarne la notizia.

L’intervento di monsignor Filia alla cerimonia di incoronazione della Madonna Noli Me Tollere acquista per noi una notevole importanza sia perché accoglie le testimonianze dei pievani del passato sull’antichità della parrocchia sia per il riconoscimento dell’importanza politica del  territorio sorsense vista la sua collocazione in posizione strategica davanti al Golfo dell’Asinara, a fianco dell’antica Turris, e questo giustifica la presenza diretta, in questo borgo, dei membri della famiglia regnante.

 

pantaleoMi sembra quindi utile ripercorrerne in parte le ultime vicende utilizzando come fonte proprio il  Liber Iudicum Turritanorum curato dallo storico Enrico Besta.

Il giudice Mariano II, stando al Liber , “apustis morte de su babu regnait  grandemente”[9]; questo Mariano ebbe tre figli dalla moglie  Agnese: la prima fu Adelasia, che fu data in moglie a Ubaldo di Gallura, la seconda figlia Benedetta, divenne moglie del conte di Ampurias in Catalogna, il terzo figlio fu Barisone il quale, come sopra riportato fu ucciso dai nemici del padre[10]. Nonno del giovane Barisone III era stato dunque il giudice Comida[11], uno dei quattro figli di Gunnari: “Custu juigue Comida bene regnait.  Multiplicait su regnu de dogni bene…”[12].

Bisavolo dello sfortunato giudice Barisone morto in tenera età e sepolto a Sorso, stando all’antica cronaca,  era dunque Gunnare. Anche la giovinezza di questo personaggio era stata piuttosto travagliata: era ancora un ragazzo quando divenne orfano del padre, il giudice Costantino, e la madre, rimasta vedova, partì per la sua Sicilia lasciando Gunnare in Sardegna. Il corpo di Costantino fu sepolto nella chiesa della SS. Trinità di Saccargia; “totu sos prelados et cleru cun totu sos lieros de Logudoro […] lu portain a su monasteriu de sa santissima Trinitade de Sacargia et sutteraintilu intro de sa ecclesia dae nantis de su altare magiore […] et restende batia donna Marcuzia”[13], si imbarcò e ritornò alla volta della Sicilia per raggiungere Messina, la sua città d’origine, e lì fondò un ospedale.

Lasciava quindi in Sardegna il suo unico figlio Gunari, ancora in tenera età, della cui sicurezza si fece carico un personaggio legato al defunto giudice Costantino da forti vincoli di amicizia e fedeltà: “Restende minore su dictu juigue Gunari […], si pesait unu lieru benevolente et fidele de iuigue Constantinu de sa terra matessi clamadu Itocor Cambellas  […]. Comente morisit su babbu zio est juigue Constantinu de presente s’indi lu leait su dictu pizinnu pro dubidu qui no lu boquiren sos inimigos de su babu, qui fuit sa parida de sos D’Atene Archiados et isos Trabunas, et secretamente que lu leait a portu de Turres qui tandu fuit habitadu et populadu de mercantes pisanos homines de bene et ricos[14]. Il giovane Gunari fu dunque affidato ad un cavaliere pisano chiamato mossen Ebriando, il quale lo portò con sé a Pisa e fornì al ragazzo un’educazione consona al suo rango, dandogli infine per moglie la propria figlia. E Gunari, rientrato in Sardegna con la moglie e accompagnato dal suocero Ebriando, venne riconosciuto come legittimo giudice e signore del Logudoro, prese possesso del suo regno stabilendosi nel palazzo di Ardara. Punì duramente i suoi antichi avversari; e non vennero risparmiati i parenti della famiglia Attene Archiados di Pozzomaggiore i quali vennero raggiunti e uccisi nella chiesa di San Nicola di Trullas, da sempre molto cara ai giudici del Logudoro. Non dimenticò neppure di ricompensare i suoi fedeli alleati, primo fra i quali fu Ittocor Cambellas: “…lu feit cavalleri et li donait sas villas detsa turpe de Romangia cun sos salto et terras”[15].

 

Una simile notizia invoglia ad azzardare un collegamento con la famiglia Gambella presente però a Sorso in un periodo successivo a questi accadimenti: un Gonario Gambella era subentrato nel 1430 nel possesso del feudo, denominato inizialmente Gerico y Tanegue e poi Encontrada de Romangia, alla famiglia De Senay Pilo y Castelvì[16]. In realtà la contrada era stata addirittura acquistata da Gonario Gambella dall’algherese Don Pietro de Ferrerio dopo che i De Senay Pilo l’avevano perduta per motivi fiscali. Gonario, diventato Barone di Sorso, feudatario della contrada di Romangia, Gerido e Taniga, alla sua morte lasciò il figlio Antonio come suo erede universale, il quale a sua volta, in assenza di discendenti di sesso maschile, avrebbe dovuto trasmettere il feudo e gli altri beni ai figli maschi delle proprie figlie Rosa, Maddalena e Marchesa e, nell’assenza di discendenti maschi, al proprio fratello Juan Gambella.

Rosa, primogenita di Antonio Gambella, rimase ben presto vedova del Capitano Angelo de Marongio, dal quale ebbe un figlio.

In seconde nozze Rosa Gambella sposava il viceré del regno di Sardegna Ximen Perez Escriva de Romani, portando in dote la contrada di Romangia. Dopo le nozze, Rosa indicava con apposito testamento, suo marito come erede universale, in caso di sua premorienza e pertanto, quando questa morì, la voce popolare ne attribuì la responsabilità al viceré. Questi fatti furono narrati dal Costa nel suo romanzo Rosa Gambella[17].

Dopo tali avvenimenti si aprì un lungo periodo di vertenze per la legittima successione al feudo e, dopo vari passaggi pervenne alla famiglia Amat, marchesi di San Filippo che avevano aggiunto il patronimico Y Gambella  al loro cognome[15].

Lo stemma della famiglia Gambella, scolpito in una lastra di pietra, troneggia ancora nella facciata di un palazzo nell’attuale via Fiorentina a Sorso; lo stesso simbolo, nonostante alcune modifiche subite nel corso del tempo, è stato scelto dalle amministrazioni cittadine come emblema distintivo del comune di Sorso.

In conclusione si può solo ipotizzare, in assenza di documenti, che quel legame tra Gonario Gambella e la contrada di Romangia potesse essere motivato da una qualche discendenza da quell’Ittocor Gambella che, per essere stato protettore e poi fedele ministro del giudice Gunnari (bisavolo dello sfortunato Barisone III), ricevette come ricompensa il territorio della Romangia che comprendeva Sorso e il suo territorio, come sopra riportato.

 

Autore:                    

Vanna Pina Delogu      

 

L’articolo dal titolo San Pantaleo di Sorso nel giudicato di Thorres, è stato pubblicato nel mese di giugno 2011 sul n. 39 della Rivista di cultura sarda “Sardegna Antica” ed è tratto dal libro La parrocchia di San Pantaleo in Sorso, edito da Carlo Delfino, Sassari in maggio 2012, € 39.00

 Pubblicazioni:

San Pantaleo Santa Croce

 

San Pantaleo, editore Carlo Delfino, Sassari maggio 2012, € 39.00

Santa Croce, editore Documenta di Cargeghe (SS), gennaio 2013, € 18.00

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[1] Qualche notizia su questo parroco si trova nella sua relazione del 1839; cfr., ASPSPS, L. Nurra,  Relazione dello Stato della Parochia cit., Paragrafo duodecimo.

[2] L. NURRA, Della Chiesa Parochiale e sue pertinenze, in  Relazione dello stato della Parochia cit., Paragrafo primo.

[3] G. F. FARA, Ioannis Francisci Farae, Opera, De rebus Sardois, libro II,  Gallizzi, Sassari 1992, p. 304, l n. 31-33.    

[4] N. G. MADAU DIAZ, Periodo preromano, romano e medioevale, in  AA. VV., Sorso ed i sorsensi, Cagliari 1972, pp. 11-18. Il Madau Diaz è inoltre l’autore de Il codice degli statuti del libero Comune di Sassari, Editrice Sarda F.lli Fossataro, Cagliari 1969. Tale opera venne redatta dallo storico sorsense quando era stato chiamato a ricoprire l’incarico di Segretario Comunale nel Comune di Sassari.

[5] D. FILIA, La Chiesa di Sorso alla vigilia del Concilio di Trento, in  Numero Unico, Sorso 26 maggio 1950, pp. 10-12.

[6] P. MERCI, a cura di, Il condaghe di San Nicola di Trullas cit., 312 (carta 279, 278), p. 148. Sull’argomento vedere  inoltre: G. ZANETTI, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari 1974; Id., La Vicaria o Priorato Camaldolese di San Nicola di Trulla in Sardegna, estratto da Bollettino Storico Pisano –XLIII – 1974, Pisa.

[7] D. FILIA, La Chiesa di Sorso cit., pp. 10-12. 

[8] E. BESTA, Il liber Iudicum Turritanorum con altri documenti logudoresi; (titolo del ms. torinese: Condagues de Sardina), Palermo 1906, p. 11. Ibidem, nota n. 5. si precisa: “ Il C.D.S. (Condagues de Sardina) in senso analogo usa jaguet, ma la correzione qui non è sicura”.

[9] E. Besta, Il liber Iudicum Turritanorum cit., p. 10.

[10] Ibidem, p. 11.

[11]Ibidem, p. 6: Comida era stato il quarto figlio del giudice Gunari “apisit quimbe figios zo est domizellu Barizoni, domizellu Pedru, domicellu Ittocor (fa pensare ad un omaggio ad Ittocor Cambellas, protettore di Gunari), domicellu Comida[…]”.

[12] Ibidem, p. 10.

[13] Ibidem, p. 4

[14] Ibidem, pp. 4-5.

[15] Ibidem, p. 6.

[16] N. G. Madau Diaz, Breve storia di Sorso, in Sorso ed i sorsensi, pp. 10-48. Cfr., F. Floris, Feudi e Feudatari in Sardegna, Edizioni della Torre, Firenze 1996, vol. II, pp. 457-458.

[17] E. Costa, Rosa Gambella. Racconto storico sassarese del secolo XV, Ilisso, Nuoro 2004.

[18] N. G. Madau Diaz, Breve storia cit., pp. 22-26.

Among the arguments in support of the antiquity of the Parish of Sip and its importance within the policy judged , there is also one relating to the killing of Judge Torres Sip Barisone III , and his alleged burial in the church of San Pantaleo .

If it finds a mention in a report parish written in 1839 in response to questionnaires bishop .

The parish priest Don Lorenzo Nura, wrote in 1839 [1] in the church of San Pantaleo had been present Barisone the tomb of King III of Torres, as appeared by an inscription engraved on a tombstone . We know also that the Theologian Don Salvatore Oggiano , Nura ‘s predecessor at the helm of the parish, had given the historic Sardinian Pasquale Tola , during a visit to the scholar Sip , the news about the tombstone of the young prince , as proof of Sip in his killing and burial in the church of San Pantaleo .

This tombstone, if really existing , went probably lost during the reconstruction of the church, designed and directed by the architect ( and Franciscan friar ) Antonio Cano , because we did not receive any evidence of its existence. The intent of the Nura was perhaps to emphasize the historical importance of the parish entrusted to him by describing , in detail , not only the religious life and administration, but also at the same time tracing the glorious origins , based on ancient authors , the Fara and on oral tradition , and bringing in support of this claim the news about the tombstone of young Barisone :

” […] Although no monument is found not certain , that determines the precise time of its erection , however , would not be alien to the truth, if we speak of what the authors of National History would be fixed in the tenth century , in which, in state of prosperity there was the old Torres while Fara since the twelfth century called Sip = opidum distinguished . To be so, especially in the centuries of ignorance and invidezza , it would be necessary that at least two centuries , from this , precede its existence , and in which , in accordance with the prescribed fees of Sagri , this population had been erected in parochia : the more that before the middle of the 13th century in such a parochia was buried the body of Barisone III, King of Torres, as is clear from the tombstone , that in it there parochia with his lapidary inscription , and the bones of that Prince, that are preserved separated from all the others: azzardoso then would not it, to say , the Parochiale of Sip recognized his erection in the tenth century ” [2] .

Perhaps the news of the death of the prince to Sip had been taken from Fara ( who in turn had taken from the Liber iudicum turritanorum ) that, in the De Rebus Sardois , handed down this event , pointing to a Barisone , according to the court with this name ( according to Fara ) , who succeeded his father in the kingdom of Mariano Torres , who died at an early age and was buried in the church of San Pantaleo Sip [3] .

 In fact , historians of the nineteenth century spoke of the criminal act especially to refute the legend of the killing of the young prince to Sip rather than to support it , but the fact remains that the news of the death of the young Sip and burial in the parish church , was much debated topic in the nineteenth century by a number of scholars mainly because it showed that , at a certain moment in its history , Sip found itself at the center of the political events that shook the family Judicial. And although the evidence to support the veracity of these facts no longer exist today , the fact remains that there is some truth in what has been handed down .

The historic Sorso Nino Gaetano Madau Diaz [4] , in the second half of the last century , dwelt on the issue of the killing of Judge Barisone , in the days when the city of Sassari was trying to get his municipal autonomy , and the burial of Prince in the parish church of San Pantaleo at Sip .

Welcomed in this regard the version of La Marmora and concluded by saying that certainly Sassari , after buying more autonomy and throughout the Romangia , they could not allow that in the church of San Pantaleo was still clearly visible plaque which attributed the crime to a certain Peter sassarese so , probably , called plaque was removed , transported in Sassari and placed in a closet without destroying it but mutilating the part that indicated the Sassari as responsible for the crime .

According to the judgment of one historian of the Church of Sardinia, Monsignor Damiano Filia , who analyzed the events perhaps based on knowledge of the report prepared by the parish priest Nura and other similar pages written by historians of the nineteenth century (but mostly on Fara ) , which he regarded as reliable evidence , it appeared likely that the conspirators had reached Barisone of Sassari in Alghero , where probably relatives had done refuge , to protect it from the dangers of the crisis policy in place.

Also at that time assumed an accentuation of the antagonism between the two villas as it was in Sassari rapid rise to the municipal autonomy and Sassari he felt the intrusion . Traces of this ancient rivalry , albeit in a minimized and ridiculed , have survived to our times in the form of folk- legends .

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